Li Virghi – Rafi and Grece recorders in Bologna (in italian)

I FLAUTI  DELL’ACCADEMIA FILARMONICA DI BOLOGNA

La collezione di flauti rinascimentali a becco della Accademia filarmonica di Bologna è composta da due flauti marchiati C.RAFI (Claude Rafi), di cui uno in taglia di tenore e l’altro in taglia di bassetto, e nove flauti marchiati P.GRECE o GREGE di cui quattro tenori, tre bassetti e due bassi. Alla collezione appartengono anche due flauti di tipo “Praetorius” che però non rientrano nell’oggetto della presente relazione.

    Vista d’insieme e particolare del marchio sui due flauti C. Rafi

Del costruttore Claude Rafi si hanno notizie sufficienti per annoverarlo tra i più celebrati del periodo rinascimentale; egli opera a Lione con il padre Michaud Raffy con il marchio M.Rafi e successivamente, alla morte di questi avvenuta nel 1523, con il proprio marchio C.Rafi, fino al 1553, anno della sua morte; al contrario nulla si sa del costruttore P.Grece.  per cui fu fatta l’ipotesi[1] che si sarebbe potuto trattatare di un artigiano estraneo all’atelier dei Rafi, incaricato, molti anni più tardi, della realizzazione di un consort di flauti su modello dei due Rafi. Non può neanche escludere che, al contrario, sia stato Claude Rafi ad integrare con i suoi due flauti il consort costruito da Grece precedentemente. A mio avviso però, l’ipotesi più probabile  è che P. Grece altri non sia che quel Pierre, documentato nel 1528 come “fleustier”,  fratello di Claude e con lui residente (The New Langwill), che avrebbe anch’egli lavorato nella bottega paterna. Certo  è che se Pierre fosse stato un fratello carnale di Claude avremmo trovato strumenti siglati P.Rafi; ma trattandosi probabilmente di un figlio naturale o adottivo di Michaud, potrebbe essere stato  obbligato ad utilizzare un marchio diverso. Inoltre  non è da sottovalutare il fatto che Grece/ge si firma col nome e anche con un piccolo stemma, con caratteri abbastanza simili e con la stessa tecnica a bassorilievo come Rafi, ma, cosa piuttosto insolita, imprime marchio e stemma sul fondo degli strumenti anziche nella parte frontale, come era consuetudine. La somiglianza anche estetica, oltre quella costruttiva, fra gli strumenti Grece e Rafi fanno pensare  alla provenienza da un’unica bottega.

vista del fondo del piede di un tenore Grece e particolare dello stemma

Che comunque Grece/ge sia stato un costruttore di flauti, e non un semplice tornitore, sembrerebbe documentato da più particolari costruttivi degli strumenti; ad esempio i due flauti bassi sono dotati di un singolarissimo sistema d’insufflazione, descritto in dettaglio più avanti, realizzato chiaramente senza un modello di riferimento. Presentano inoltre alcuni particolari dissimili fra loro che lasciano pensare alla realizzazione  di prototipi  più che ad un lavoro di routine. La loro progettazione avrebbe certamente richiesto conoscenze di acustica non indifferenti .

 Attualmente il consort Rafi-Grece conta undici flauti il cui diapason, considerando i tenori come tagliati  in Do, risulta  circa La=490 Hz. A tale diapason uno dei tenori Grece è tagliato in Sib, mentre quello marchiato Rafi ha come fondamentale un do# invece di un do come gli altri flauti tenori della collezione; infatti, rispetto a questi, risulta accorciato al piede di circa 25 mm .Forse c’è qualche relazione con la caratteristica dei più antichi flauti medievali di avere un semitono come primo intervallo, ma in questo caso anche gli altri strumenti della collezione avrebbero dovuto presentare la sessa caratteristica. Forse la necessità di disporre di un tenore in grado di suonare la seconda minore, che senza l’ausilio di doppi fori risulta praticamente impossibile; oppure un tentativo, peraltro non riuscito, di inalzare i suoni del terzo registro  (si e do) che in tutti gli altri tenori, ma anche in questo, sono effettivamente troppo calanti. Resta comunque  il problema della loro datazione, possibile con certezza solo se venissero ritrovati documenti  sull’acquisto degli strumenti a Lione.

Un possibile legame fra le realtà musicali di Bologna e Lione di  quel periodo potrebbe essere rappresentato  dalla presenza di un Tieffenbrucher[2] a Bologna che sembra essere stato in frequente contatto con il più noto Caspar Tieffenbrucher attivo a Lione.

Trattandosi comunque di strumenti costruiti e marchiati da Claude Rafi, si possono datare, in prima approssimazione, fra il 1515 e il 1553, ovvero l’arco temporale accertato dell’ attività come ”fleustier” a  Lione; solo un’analisi organologica con riferimenti a documentazioni dell’epoca potrebbe fornire elementi in più per affinare la ricerca e restringere ulteriormente la forbice temporale in cui collocare  i due strumenti.

Un elemento da prendere in considerazione riguarda certamente l’estensione musicale  e l’analisi delle diteggiature[3].  Questi flauti, difatti, per loro conformazione, rientrano nel gruppo dei cosidetti “non Ganassi”, ovvero di quei flauti nei quali i suoni armonici della nota fondamentale, ottenuti cioè per sovrainsuflazione con la stessa diteggiatura, non risultano intonati con la nota fondamentale stessa.

Di questa categoria fanno parte tutti i flauti  a becco con andamento della cameratura cilindrico o conico inverso, non dotati di sufficiente scampanatura al piede, i quali possono emettere, con una delle  diverse diteggiature descritte nei trattati del XVI, XVII e XVIII secolo molto simili tra loro, i suoni acuti del terzo registro in presenza di un determinato equilibrio fra la posizione e dimensione dei fori e la geometria della cameratura interna. Nei flauti Rafi-Grece/ge della Filarmonica questo equilibrio non c’è, pertanto questi strumenti non sono, ne sono mai stati, in grado di suonare con l’estensione di due ottave intonate.

In effetti la loro cameratura, per forma e dimensioni, potrebbe essere in grado di produrre i suoni del terzo registro, anche con i fori posizionati negli stessi punti, ma solo dopo piccole ma importanti modifiche, il che farebbe ritenere possibile che strumenti successivi, prodotti dallo stesso  Claude Rafi, potrebbero facilmente aver superato le due ottave di estensione, come descritto da P.J.De Fer  nel “Epitome Musicale des Tons, Sons, et Accordz” pubblicato a Lione nel 1556. Questo trattato riporta la diteggiatura ed il disegno di un flauto a becco  somigliante a quelli  prodotti nella bottega di Rafi. Certamente, tenuto conto degli scopi didattici dell’opera, gli strumenti descritti da J.de Fer  dovevano esistere ed essere facilmente reperibili a Lione.

La descrizione delle diteggiature riportate nell’Epitome Musicale, corrisponde ad uno strumento in grado di emettere suoni intonati su due ottave, quindi innegabilmente uno strumento più evoluto dei Rafi – Grece/ge conservati a Bologna.

E’ pur vero che nella prima metà del cinquecento erano presenti a Lione almeno altri due costruttori di flauti[4], precisamente Mathurin de la Noue, attivo fra il 1523 e il 1542, e Jaques Pillon, documentato nel 1503, per cui gli strumenti descritti da J.de Fer potevano provenire da queste altre botteghe,  ma è altrettanto vero che un modello più perfezionato diventerebbe, specie in una realtà circoscritta, in brevissimo tempo un nuovo standard ed è quindi plausibile che strumenti prodotti dai Rafi  successivamente a quelli di Bologna avessero anche loro quelle caratteristiche. Questa circostanza porterebbe a far ritenere che i due flauti C. Rafi dell’Accademia sarebbero opera di un primo periodo di attività dell’atelier di Michaud, Claude e Pierre Rafi

In sintesi, per quanto detto sin qui, immagino una possibile datazione dei  Rafi e dei Grece della collezione  di Bologna fra il 1515 e il 1520-30. In passato si era pensato anche a datazioni molto posteriori, non solo per quanto riguarda i Grece ma anche per i Rafi. La suggestiva ipotesi di una  realizzazione seicentesca di questi flauti[5] ad opera di discendenti di C.Rafi,  operanti forse in Italia con lo stesso marchio, formulata da F.Puglisi, era stata già confutata da P.Bär nel citato articolo “Fecit de la main de Raffy lyonnois”, in base a considerazioni principalmente storiche. In effetti un articolo di G. Tricou pubblicato il 27 ottobre 1903 nella “Revue Musicale de Lyon” riporta: “..de son mariage avec Marguerite Polyne, Rafi n’eut pas de descendants mậles, mais seulement deux filles ……. Ni l’un in l’autre de ses gendres ne suivirent la carrière de Rafi, en sorte qu’avec lui s’éteignit cette maison si prospère. …”. Appare dunque evidente che non sia mai esistita una dinastia di costruttori operanti sotto lo stesso marchio Rafi.

Le su-esposte considerazioni avvalorano la tesi di Bär e dovrebbero definitivamente sancire la collocazione  nella primissima metà del XVI secolo, quantomeno dei due flauti Rafi, e quindi concettualmente di tutto il consort.

Vediamo ora in dettglio il sistema di insufflazione inpiegato da Grece/ge per i due bassi in Sib; si tratta di un sistema del tutto originale che non troverà seguito  in nessun altro strumento sino ad oggi ritrovato e documentato o conservato in musei o in collezioni private.

Per prima cosa si nota che i due flauti non dispongono ne di un cannello, ne, apparentemente, di alcuna apertura per l’insufflazione nella parte superiore.

La parte superiore della testa del flauto, dove è collocata l’apertura del canale d’insufflazione, risulta stabilmente coperta da un rivestimento sottile in ottone. Rimosso questo coperchio, il blocco non presenta aperture all’esterno da cui immettere aria nel canale; sembrerebbe impossibile, dunque, insufflare ed emettere alcun suono da questi flauti.

Osserviamo ora questa prima foto: essa mostra i due bassi in tutta la loro lunghezza; si noti la presenza di un taglio trasversale di alcuni centimetri a circa un quarto della lunghezza (indicato dalle frecce);

visto da vicino  il taglio ha sagoma  trapezioidale con incastro a coda di rondine.

La seconda foto ci mostra il particolare della sede trapezioidale e dell’incastro a coda di rondine, molto ben fatto, che suggerisce l’opera di un esperto ebanista. Guardando attentamente si può scorgere sul lato obliquo del trapezio, che guarda verso l’imboccatura dello strumento, la presenza di un foro circolare oggi tappato con cera; questo foro costituisce lo sbocco di un sottile canale che corre  longitudinalmente all’interno della parete del flauto sino alla  imboccatura.

Rimovendo ora il blocco vediamo che la sua sede presenta lo stesso foro, tappato all’estremità con un inserto di legno, che dispone però di un’uscita laterale all’interno della cameratura dello strumento.

L’ultima foto mostra il blocco in cedro, parzialmente inserito nella sua sede, in cui si nota l’apertura laterale che mette in comunicazione  il lungo canale interno parallelo alle pareti dello strumento con il suo windway .

Questo complicato sistema, otre ad essere costruttivamente difficile da realizzare, risulta anche poco efficace. Difatti la sezione del canale realizzato nella parete del flauto è necessariamente troppo ridotta (il diametro è circa 8 mm) e induce un’impedenza eccessiva al soffio; ne si potrebbe realizzare all’interno della parete di legno un canale di dimensioni maggiori senza aumentare sproporzionatamente lo spessore delle pareti stesse e quindi il peso complessivo dello strumento.

Per contro, con questo dispositivo il suonatore poteva assumere una posizione alquanto comoda: introduceva il bocchino nella sede a coda di rondine e,  stando seduto, impugnava il flauto quasi come un traverso, poggiandolo sulla coscia appena sopra la fontanella. Peccato che i dispositivi di imboccatura, che avrebbero dato una visione completa del sistema, siano oggi perduti.

La assoluta originalità di questo sistema di insufflazione suggerisce  ulteriori osservazioni sulla collocazione temporale di questi flauti.

Se fosse vera l’ipotesi di flauti realizzati fra la seconda metà del 500 e la prima del 600, perché Grece/ge non avrebbe  adottato il  sistema più semplice e pratico del cannello di insufflazione esterno, caratteristico dei flauti bassi costruiti fra la fine del 500 e gli inizi del 600 (Praetorius)

Dovremmo dunque considerare la loro costruzione in epoca molto più remota, nella quale la presenza di flauti bassi di quelle dimensioni non risulta ancora documentata nei trattati musicali.

Sarebbe necessario ricostruire delle copie suonabili di questi flauti bassi, magari dotandole di un sistema d’insufflazione più pratico, per poter esprimere un giudizio attendibile sul loro funzionamento e fornire qualche elemento in più alla loro datazione.

F. Li Virghi

 

 

[1] Frank P.Bär  “..FAICT DE LA MAIN DE RAFFY LYONNOIS..”  Tibia …..

[2] Numerosa famiglia di liutai, proveniente da Füssen e Rosshauten in Germania, i cui membri sono presenti in Francia a Lione (Caspar Tieffenbrucher 1514-1571) e in Italia sia a Venezia che a Bologna (Ulrich Tieffenbrucher)

[3] allegati 1. 2 e 3  alla presente relazione

[4] The New Langwill Index – William Waterhouse  1993

[5] F.Puglisi “I flauti traversi rinascimentali in Italia” – Firenze 1995

dolciflauti